mercoledì 19 gennaio 2011

Frontier blues (2009) - di Babak Jalali

Se il cinema è (anche) cultura, curiosità, voglia di esplorare le differenze, allora Frontier Blues merita qualcosa in più di quanto i critici internazionali non gli abbiano riconosciuto (in Italia non è mai arrivato, né in sala, né nel circuito home video).
Passato nel 2009 dai festival di Gijon, Locarno e Stoccolma, questo film racconta piccole storie di vita nel Nord di un Iran sconosciuto, in un luogo chiamato Gorgan, dove persiani, kazaki e turkmeni convivono, fra e deserti e montagne, sullo sfondo del Mar Caspio.
Un giovane vuole imparare l’inglese e scappare via, a Baku, con la sua amata, un contadino che posa fra spazi infiniti per un fotografo arrivato da Tehran, un ragazzo un po’ matto che porta con sé, ovunque vada, il suo asino ed un registratore portatile che suona una vecchia canzone francese.
Sono queste le immagini, i ritratti, cui ci troviamo di fronte, affreschi affascinanti di esistenze lontane, soprattutto umane. I personaggi cercano amore, amicizia, serenità, e li scopriamo in tutta il loro essere semplici, forse meno distanti, nelle emozioni, di quanto avremmo pensato.
Frontier Blues non è il solito film intellettualoide con ritmo da suicidio e scene incomprensibili, è invece una commedia spaesata e divertente, che riesce a mostrarci, senza perdersi in ovvietà e luoghi comuni, le sensazioni nascoste di umanità lontane, perdute fra strade lunghissime che corrono accanto al deserto bianco, fra gli avventori di una taverna che bevono un thè alla menta.
Si trova la poesia in Frontier Blues, nascosta come per caso in mezzo alle persone, lì dov’eravamo stati soltanto con l’immaginazione.

Frontier Blues
di Babak Jalali. Con Khajeh Araz Dordi, Behzad Shahrivari, Mahmoud Kalteh, Abolfazl Karimi
Durata 97 minuti
Iran / UK / Italia - 2009

martedì 11 gennaio 2011

Café Lumiere (2004) - di Hou Hsiao Hien

Non è poi strano immaginare qualcuno andar via dalla sala a metà di questo lento film, ma d’altronde è forse proprio nella lentezza che si cela il fascino di Cafe Lumiere, un’opera da comprendere nel suo estetismo semplice, nella volontà titanica di rappresentare la società giapponese contemporanea in un omaggio al cinema domestico di Yasuhiro Ozu.
Ne viene fuori un film soffice, costruito a piccoli pezzi, con lunghi piani sequenza che non stancano, ma che inducono invece ad abbandonarsi lungo l’idea visiva del regista Hou Hsiao Hien, desideroso di mostrare la vita quotidiana con mezzi espressivi diretti, rallentati, stranianti, che nel loro racconto, nella loro osservazione “da lontano”, riescono a ricostruire un’atmosfera di poetica malinconia da cui pian piano ci si lascia avvolgere.
È un film sottovoce Cafè Lumiere, che indaga i meccanismi minimi dei sentimenti, delle relazioni, della quotidianeità metropolitana di una città immensa come Tokyo. Ci si appassiona ai rumori della ferrovia, agli interni casalinghi di Yoko, ed è un movimento in crescendo quello che senza platealità ci attira nell’universo umano di Hsiao Hien.
Ci si affeziona così alle piccole cose, ai gesti, alle voci, ai suoni ed ai colori di cui quasi non ci si era accorti.

Cafe Lumiere (Kohi jikou)
di Hou Hsiao Hien. Con Yo Hitoto, Tadanobu Asano, Masato Hagiwara, Kimiko Yo
Durata 104 minuti
Giappone - 2004