venerdì 15 giugno 2012

La kryptonite nella borsa (2011) - di Ivan Cotroneo


L'abbiamo visto in casa qualche sera fa questo film. Non ci ha convinto molto.
E' la storia di una famiglia napoletana negli anni settanta, con Peppino, un ragazzino di dieci anni con degli occhiali da miopia giganti, a fare da filo conduttore per tutte le vicissitudini, abbastanza scontate, che attraversano i vari membri della combriccola. Ci sono la madre tradita, il marito buono ma infedele, l'amica alla ricerca dell'uomo giusto ed i ventenni in vena di trasgressioni ed esperienze che poi però alla fine si rifugiano nel luogo più sicuro del mondo: la scappatela con successivo matrimonio. E poi c'è questo strano personaggio che è il cugino pazzoide di Peppino, convinto di essere Superman: appare e scompare come un eroe immaginario dalla fantasia del piccolo protagonista, diventandone il migliore amico.
Ci sono degli spunti interessanti, soprattutto nella fotografia coloratissima di una Napoli piena e vivida, ma la rappresentazione degli equilibri familiari, le caratterizzazioni dei personaggi, non aggiungono niente di nuovo in questa opera d'esordio di Ivan Cotroneo, apprezzato sceneggiatore di una nuova commedia italiana che negli ultimi anni ha riscosso un certo successo ma che al sottoscritto, specie pensando ad Ozpetek, non piace per niente. 
Dopo essere stato insultato pesantemente dal mio collega di visione, rifletto sul film e mi rendo conto che non aggiunge niente. Certo è ben confezionato, un lavoro preciso dove ogni cosa sta al suo posto. Ma non ci sono scatti, tutto inizia e finisce e quasi non ce ne accorgiamo.
Forse sarebbe stato un buon cortometraggio, chi lo sa? Di sicuro 98 minuti mi sembrano un po' troppi.

La kryptonite nella borsa
di Ivan Cotroneo. Con Valeria Golino, Luca Zingaretti, Libero De Rienzo, Cristiana Capotondi, Luigi Catani, Vincenzo Nemolato, Monica Nappo, Massimiliano Gallo, Lucia Ragni, Gennaro Cuomo, Fabrizio Gifuni
Durata - 98 minuti
Italia - 2011


mercoledì 11 aprile 2012

Ghost Dog (1999) - di Jim Jarmush

E'un bel cinema quello di Jim Jarmush, un cinema che non stanca perchè racconta storie semplici, e mai banali, con eleganza, con stile, con un tocco di cinematografia che è disivolto e alto, asciutto e colto.
Ghost Dog è un killer solitario, un tipo di strada che si ispira all'Hagakure, la filosofia dei samurai, che vive su una terrazza in compagnia dei suoi piccioni, convinto che il rispetto per il suo signore, l'uomo che gli ha salvato la vita tanti anni prima, sia più importante della vita stessa.
Jarmush mette in scena una storia fuori dal tempo, ispirata al Le Samourai di Melville (di cui si riconoscono numerosi riferimenti) centrata sul personaggio di uno straordinario Forrest Whitaker, capace di caratterizzare il suo ruolo con accenti che mischiano surrealtà e durezza. Su un sottofondo di rap ed acid jazz Ghost Dog si muove al ritmo della periferia, apre le auto con uno strano marchingegno elettronico, ha un migliore amico che parla solo francese, ma con il quale riesce sempre ad intendersi perfettamente. Sono bellissime le immagini di Whitaker che guida al ritmo rap dei Wu Tang Clan: sullo schermo si crea una sorta di atmosfera perfetta, nonostante le continue contraddizioni visive.
E'quasi un'antieroe il protagonista di Jarmush, una figura incomprensibile nell'insistenza con la quale persegue i suoi principi, soprattutto se messa a confronto con la realtà infima di una malavita dai toni caricaturali, ma che non diventa mai macchietta, una parodia cinica e divertita di gangster ormai definitivamente passati di moda, ridicoli e mediocri.
Un film che unisce l'action movie e la commedia, con lo stile inconfondibile di Jarmush.

Ghost Dog 
di Jim Jarmush. Con Forest Whitaker, John Tormey, Isaach De Bankolé, Henry Silva, Cliff Gorman, Tricia Vessey, Victor Argo
Durata 116 minuti
USA / Francia / Gran Bretagna - 1999



giovedì 8 dicembre 2011

This Must Be the Place (2011) - di Paolo Sorrentino

Critiche incerte, divise, non pienamente convinte, per il primo film americano di Paolo Sorrentino, probabilmente il regista più talentuoso del nostro cinema, che con This must be the place trasferisce il suo modo unico di creare immagini in una storia che, come altre volte è accaduto nel corso della sua carriera, non è particolarmente “piena”, non riempie ogni casella nella mente dello spettatore, ma che piuttosto ci regala l'ennesimo personaggio incredibile di una galleria, quella di Sorrentino, evidentemente stravagante. 
Un cantante ormai fuori dal tempo, demodè nell'anima e nel corpo, trascina se stesso ed una valigia alla ricerca di un uomo, colui il quale avrebbe disonorato il padre ebreo in un campo di concentramento.
Eppure è un contorno, tutto questo. Sì, un espediente per un on the road fuori dagli schemi, dove alla magia pura di immagini la cui forza espressiva difficilmente può essere messa in discussione si mischia un andamento, una tensione fatta di lentezza, malinconia e curiosità, che pian piano ci porta dentro il film, ci convince ad andare dietro al suo protagonista, a seguirlo indipendentemente da dove stia andando. 
Quando finalmente quest'intreccio è compiuto, quando quasi ci si dimentica del perchè questo tipo bizzarro con i capelli dritti ed il rossetto stia vagando su strade d'America sempre più infinite, quando si scivola dentro l'intensità creativa fatta di sensazioni dipinte sullo schermo, di passaggi scanditi a piccoli tratti, siamo ormai dentro l'intimità di Cheyenne, ne abbiamo compreso la disperazione, la lucidità, il motivo volontario del suo grottesco, soprattutto abbiamo capito che forse, più di ogni altra cosa, era se stesso che andava cercando...

This Must Be the Place
di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten, Judd Hirsch, Kerry Condon, David Byrne, Olwen Fouere, Shea Whigham
Durata 118 minuti
Italia / Francia / Irlanda - 2011


sabato 2 luglio 2011

Giulietta degli spiriti (1965) - di Federico Fellini

Considerato a lungo, e in parte ancora, uno dei film “sbagliati” di Federico Fellini, accusato di manierismo, di compiacimento, di sovrabbondanza gratuita dalla critica del tempo, Giulietta degli spiriti, rivisto oggi, a quarantasei anni di distanza, appare invece un lavoro unico nel panorama del cinema italiano. Eppure all'uscita, nel 1965, venne distrutto dagli esperti. Per avere un'idea di quanto i critici non lo avessero digerito basta riproporre queste parole di Goffredo Fofi, che su Quaderni Piacentini all'epoca scriveva: “Giulietta degli spiriti, una specie di parodia scialba di Otto e mezzo, un film dominato dalla insopportabile pazienza negativa della Masina, un pasticcio colorato alle salse più scontate, un reader's digest della media-cultura medio-borghese italiana, è di una banalità e mediocrità sconfortanti. In Giulietta tutto è ripetizione e maniera.”
Un giudizio pesantissimo, che verosimilmente avrà pregiudicato la visione del film per chissà quanti lettori della rivista di Fofi. Un giudizio, questo sì, gratuito, oltre che volontariamente provocatorio.
Giulietta (Giulietta Masina), la protagonista del film, si arrovella nel dubbio che il marito Giorgio la tradisca, convinta in verità della sua fedeltà, incatenata al buon senso frutto della sua educazione. Intanto però comincia un viaggio oscuro fatto di visioni ultraterrene, apparizioni, ricordi, condizionamenti, un pianeta di ossessioni da cui non riesce a liberarsi.
Dinanzi ai suoi occhi ecco un mondo nuovo, qualcosa cui non aveva mai voluto far caso, ma di fronte al quale adesso non può più nascondersi.  

Giulietta degli spiriti è il primo film a colori di Federico Fellini. Non è un particolare secondario perchè mai il cinema italiano aveva visto il colore, che eppure già veniva utilizzato da una decina d'anni, così come adesso Fellini lo presentava. Tutto sembra fantasia e meraviglia, si avverte costantemente la presenza di tonalità che si avvertono quasi sconosciute, che diventano protagoniste assolute della pellicola, in una festa di immagini e invenzioni che ne sottolineano la profondità, accompagnate dalla musica ammaliante di Nino Rota, suoni che paiono disegnati sui toni delle scene.
E poi i temi, anche questi inediti nella cinematografia nazionale, della trasgressione dei comandamenti religiosi, della liberazione del corpo sopra qualsiasi altra cosa, del tradimento, della necessità di confrontarsi con i tabù, tutti elementi che vengono portati in scena seguendo una linea di inventiva che spinge l'arte di Federico Fellini ai suoi livelli più alti. Si ha spesso l'impressione che niente possa più contenere lo sguardo del regista, che finalmente viene liberato, grazie al colore, nella possibilità di poter lavorare su scenografie, caratterizzazioni dei personaggi, inquadrature, costumi, coreografie, seguendo il processo creativo nella sua forma più totale, più pura, andando verso un risultato che supera il cinema e si fa arte visiva tout court.

Giulietta degli spiriti
di Federico Fellini. Con Giulietta Masina, Mario Pisu, Valentina Cortese, Sandra Milo, Josè Luis de Villalonga, Milena Vukotic, Caterina Boratto, Sylva Koscina
Durata 129 minuti
Italia - 1965






sabato 30 aprile 2011

Habemus Papam (2011) - di Nanni Moretti

Per entrare subito in argomento: Habemus Papam è un film del quale non si comprende la necessità.
Scialbo, vuoto, verrebbe da dire dimezzato vista la costante sensazione che manchi qualcosa, che tutto resti superficiale, immobile, spento. Non è un film che divide, che piace in parte e poi si perde, no, è proprio un lavoro che non suscita nulla, niente di niente, se non l'evidenza della sua impotenza.
Viene da chiedersi come sia possibile che un autore come Moretti, al suo undicesimo lungometraggio cinematografico, proponga un film così distante da tutti gli elementi che hanno sempre caratterizzato la sua poetica, vale a dire quel sarcasmo, quell'ironia, quel gusto per l'invenzione, quella critica ai costumi ed alla società del nostro tempo, trascinati da accenti surreali.
Habemus Papam è la storia di un vescovo che, designato per il pontificato, si smarrisce, mettendo in dubbio la propria fede, la propria scelta religiosa, tutto il suo universo di certezze. Ebbene quest'idea, che in molti ritenevano potesse essere trasformata in un film straordinario dalla maestria di Nanni Moretti, rimane una vera e propria incompiuta, un'opera che lascia spiazzati per tutto ciò che avrebbe potuto essere, e che invece non è.
Il protagonista (Michel Piccoli) scappa via dalle sue responsabilità, in una Roma anonima, mentre a Città del Vaticano uno psicologo (Nanni Moretti) organizza tornei di pallavolo per far passare il tempo.
Spunti, tracce, segnali, ce ne sono diversi, mancano però l'affondo, la sostanza, la carica espressiva, tutto si risolve in una sorta di divertissement per fanatici morettiani, che infatti ridono quasi a comando, lì dove il regista romano si esibisce in un narcisistico ritorno cinematografico al mito di se stesso, in mezzo a trovate strampalate che a quanti riescono a mantenersi comunque, nonostante l'enorme rispetto per Moretti, equilibrati, mettono più che altro tristezza.
Habemus Papam è certamente il film più mediocre nella carriera di Nanni Moretti, non è facile scriverlo (e per questo i critici famosi, pur senza mostrare entusiasmo, non hanno affondato il colpo, d'altronde stroncare Moretti è impopolare, quasi vietato)ma purtroppo l'impressione è quella di un progetto senz'anima, peraltro pubblicizzato con logiche davvero poco "morettiane" (siti internet a sorpresa, mostre fotografiche, giochi cinematografici con film in regalo, interviste per i programmi più odiosi della supposta controcultura sinistrorsa, ovviamente confinata fra le compagne emittenze di Rai3).
Cosa fare dunque, adesso, per riconciliarsi con Moretti ed il suo cinema?
Guardarsi un vecchio Sogni d'oro, o Aprile, ma senza nostalgie canaglie, e ricordarsi che in fondo un film lo si può pure sbagliare.

p.s. incomprensibili le proteste della Chiesa cattolica, e dei cattolici, contro Habemus Papam, che è davvero un prodotto insignificante sotto qualsiasi punto di vista critico e che anzi, forse, per quel che riguarda il lato emozionale, alla Chiesa rende un gran bel servizio.

Habemus Papam
di Nanni Moretti. Con Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile, Ulrich von Dobschütz, Gianluca Gobbi, Nanni Moretti, Margherita Buy
Durata 104 minuti
Italia / Francia  - 2011





domenica 13 marzo 2011

Il Grinta (2010) - di Joel ed Ethan Coen

Dipende tutto dalle aspettative. In fondo funziona sempre così, al cinema come nella vita.
Ed allora, se dai fratelli Coen ci si aspetta un po' di genio, una battuta fulminante, un'atmosfera da commedia alta ed intelligente, un film sopra la media insomma, Il Grinta delude almeno un po'.
Se invece ci si limita a guardare e ci si dimentica che dietro alla macchina da presa ci sono Ethan e Joel, diventa tutto più semplice, in questo caso Il Grinta non è deludente, anzi, è un western moderno, preciso e puntuale, girato con maestria, pulito, attento nel ritmo.
Che Il Grinta piaccia o meno rimane poi l'amore dei Coen per i loro personaggi, come spesso accade resi quasi più importanti della storia stessa. Ad accompagnare la piccola Mattie Ross (davvero bravissima, la vera protagonista del film) alla ricerca dell'uomo che ha ucciso suo padre è lo sceriffo alcolizzato Rooster Cogburn, interpretato da uno strepitoso Jeff Bridges, che fa il buono ed il cattivo, che racconta le sue vecchie storie, che dimostra di essere ancora all'altezza della situazione, la cui figura resta velata durante tutto il film da un malinconico accento di nostalgia. Con Cogburn litiga spesso il ranger texano Laboeuf (nei cui panni troviamo Matt Damon) suo compagno d'avventura, un uomo tutto d'un pezzo, fiero delle sue origini, a volte ruvido e calcolatore, a cui non vanno giù le critiche dello sceriffo, di cui però meriterà il rispetto.
Il Grinta dei fratelli Coen è girato con eleganza e sapienza, rispetta le regole del genere ma non dimentica il presente, ci porta lungo un viaggio nel quale ci si concentra su temi concreti come il distacco, i rapporti fra generazioni, le relazioni fra culture lontane, senza esagerare, costruendo un film dalla struttura agile e avvolgente.
Non sarà molto “coeniano” insomma, ma Il Grinta resta comunque uno dei film più interessanti della stagione.

Il Grinta (True Grit)
di Ethan e Joel Coen. Con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Domhnall Gleeson, Ed Corbin
Durata 110 minuti
USA - 2010

giovedì 17 febbraio 2011

Violent Cop (1989) - di Takeshi Kitano

Utilizzando i generi come modelli da modificare, da sovvertire, da trasformare sino al paradosso, Takeshi Kitano firma il suo esordio dietro la macchina da presa, datato 1989, con un poliziesco atipico, in il cui ruolo principale, interpretato dallo stesso Kitano, è affidato ad un poliziotto violentissimo, fuori dalle regole, pazzoide, una specie di Callaghan giapponese con movenze da eroe western.
Violent Cop è un film anomalo, provocatorio, che viola la regola fondamentale del poliziesco proponendo nei panni del protagonista un personaggio assurdo, le cui azioni paiono incomprensibili ed allucinanti, un uomo di cui non si comprendono i valori né il fine del suo agire.
Inseguimenti, suspense, sparatorie, duelli, ogni tassello è fuori dalla sua collocazione naturale, trasfigurato da una messa in scena che si accende e si spegne in modo intermittente, che utilizza con sapienza persino la lezione dei classici western, che sorprende per la facilità di tirar fuori il meglio da un’idea scarna e ripetitiva, (quella del poliziotto cattivo ma eroico), con un sguardo fissato su un’esistenza disturbante e brutale, dove  la morte e la vita non contano più niente, dove la luce e l’oscuro si confondono senza distinzione.

Violent Cop (Sono otoko, kyobo ni tsuki)
di Takeshi Kitano. Con Takeshi Kitano, Maiko Kuwakami, Makoto Ashikawa, Sei Hiraizumi
Durata 104 minuti
Giappone - 1989